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martedì 28 febbraio 2012

PD e PDL sul TAV, Treno ad Alta Vergogna

Nonostante la crisi economica e finanziaria, il governo dei tecnici, alias duopolio PD-PDL, sta ingaggiando con la popolazione della Val di Susa (e non solo!) una battaglia senza precedenti e senza esclusione di colpi, sordo a qualsiasi appello alla riflessione che dalla società civile si sta alzando, disposto a tutto pur di avviare un'opera gigantesca, dai costi folli, unanimamente riconosciuta del tutto inutile dai maggiori esperti del settore.
Per la politica, si va avanti come se niente fosse, perché di fronte agli appalti miliardari, non c'è manifestazione pacifica che possa sia pure semplicemente rallentare, meno che mai bloccare, l'avanzata delle ruspe.
Ormai è chiaro che gli uomini del PD e del PDL, nascosti dietro gli pseudotecnici del governo Monti,  non sono in alcun modo disposti ad aprire una discussione pubblica sulla fattibilità di un'opera da 20 miliardi di euro preventivati, infischiandosene altamente del dissenso generale, in un periodo in cui ci dicono di continuo non esserci i soldi per nulla: per la sanità, per la manutenzione stradale, per il dissesto idrogeologico del nostro paese,  per mettere in sicurezza le tante scuole fatiscenti, per costruire nuove carceri, per fare il pieno alle macchine della polizia, per mantenere le detrazioni fiscali a lavoratori e pensionati, per i beni culturali, per la ricerca scientifica,... insomma per una miriade di necessità pubbliche. 
Eppure per la TAV, che distruggerà una valle alpina creando per giunta infiniti problemi ambientali, i soldi ci sono eccome.
E si va avanti, costi quel che costi, anche se bisogna militarizzare una vasta zona pedemontana, anche se ci può scappare il morto.
Il ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, all'indomani del gravissimo incidente occorso a Lucca Abbà, uno dei leader della protesta locale contro la TAV, non sa fare altro che dire: "Si va avanti".
Ma a che titolo parla? Chi lo ha eletto per prendere una posizione così poco tecnica e tanto cinica?
Ah, dimenticavamo: l'ABC della Casta, il trio Alfano-Bersani-Casini, quelli dell'inedita alleanza tecnica.
Massimo Giannini, dai microfoni Rai di Prima Pagina, la popolare trasmissione mattutina di RadioTre, ha detto che il governo Monti rappresenta non la sospensione della democrazia, semmai la sospensione della politica.
Come se fosse possibile avere in una democrazia parlamentare disinvoltamente il commissariamento della politica senza che questo comporti ipso facto la fine della democrazia tout court.
Ma  questa è pure la Caporetto dell'intellighenzia, dei media che in queste settimane stanno facendo di tutto per derubricare la protesta TAV a mera questione di ordine pubblico.
Così gli oppositori della Val di Susa diventano amici e fiancheggiatori dei terroristi o essi stessi terroristi, pur con le sembianze di pensionati, lavoratori, sindaci, giovani coppie con bambini, artigiani, commercianti, maestre.
La politica è così prona di fronte agli interessi miliardari che si stanno concentrando sulla valle (basti pensare al business del movimento terra per scavare un doppio buco da 50 chilometri di lunghezza divorando roccia con presenza di amianto) che preferisce restare dietro le quinte mandando  i cosiddetti tecnici in avanscoperta a continuare il gioco sporco già avviato nella fase esecutiva dal governo Berlusconi.
Mentre i media li spalleggiano affrettandosi a dire che ormai, per quanto l'opera possa rivelarsi inutile e dannosa, la decisione è ormai stata presa (da chi?) ed è ormai irrevocabile.
Marco Imarisio, oggi, dalle colonne del Corriere della Sera commenta con parole che non esitiamo a definire agghiaccianti la situazione che si è venuta a creare in Val di Susa, rinfacciando ai politici di non aver detto parole chiare sulla vicenda e cioè che la protesta delle popolazioni della valle è una "causa persa" perchè l'opera si deve fare, punto e basta.
E chi si oppone non è un portatore di interessi legittimi, nella migliore delle ipotesi è un visionario, probabilmente è un matto.
A questo livello di intolleranza e di degrado culturale è giunto il dibattito civile nel nostro paese!
Eppure sono vent'anni che si è premuto sull'acceleratore di questo inferno prossimo venturo, senza che la politica e la nostra classe dirigente si siano sentite in dovere, per una volta almeno, di interpellare i cittadini che, da subito e spontaneamente, hanno fatto sentire la loro voce contraria.
Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. 
Così PD e PDL hanno stretto un patto di ferro per decidere sopra la testa della gente.
Guarda un po', dopo tanti scontri al calor bianco,  è proprio in questo che hanno trovato unità d'intenti: nel fare carta straccia della sovranità popolare.
Insomma,  la TAV come l'articolo 18, come la riforma delle pensioni, come le liberalizzazioni fasulle... alla faccia della democrazia rappresentativa!
Ma ormai non si vergognano più di niente, disposti a fare carte false pur di restare a galla.
Ecco perché, con tutta probabilità, alle prossime elezioni amministrative, non avendo il coraggio di presentarsi con il proprio simbolo, PD e PDL raccoglieranno voti sotto le mentite spoglie delle liste civiche.
Nel frattempo sono  montati, senza pagare, sul Treno ad Alta Vergogna.
E ci fanno pure la predica che questa è la modernità...

PS (29/02/2012 h. 9.00): ieri sera a Ballarò show del segretario generale CISL Raffaele Bonanni che, col suo classico linguaggio sgangherato, ha difeso la TAV con parole e toni più consoni ad un padrone delle ferriere che ad un leader sindacale.
Oltre a dare informazioni false (ad esempio, che mancherebbe all'ultimazione dell'infrastruttura europea solo il tratto italiano),  il massimo della sua argomentazione è stato quello di dire che se non facessimo la TAV "noi non investiremmo un soldo e faremmo ridere l'Europa".
Onore al merito!

martedì 14 febbraio 2012

Se Atene piange, Roma non ride

Repubblica di domenica scorsa ci ha rivelato che, alla vigilia del viaggio americano, il premier Mario Monti in un faccia a faccia con il segretario generale della CGIL Susanna Camusso avrebbe raggiunto un accordo per una sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i precari e per una interpretazione ufficiale meno rigida del principio di giusta causa da parte dei tribunali del lavoro.
Questo incontro, che si sarebbe svolto secondo il quotidiano di Piazza Indipendenza in "territorio neutrale" e che sarebbe dovuto restare segreto, getta un'ulteriore ombra sul funzionamento della nostra democrazia, dove sempre più spesso le decisioni che contano vengono prese fuori dalle sedi istituzionali, in vertici a quattr'occhi,  possibilmente lontano da sguardi indiscreti.
Anche se, come in questo caso, i protagonisti prontamente smentiscono con una inusuale nota diramata congiuntamente da Palazzo Chigi e dalla Cgil;  ma il vicedirettore Massimo Giannini conferma la veridicità della notizia.
Insomma i palazzi della politica sempre più spesso si limitano a registrare quanto viene deciso altrove rivestendo  un ruolo di pura (sia pure elegante) tappezzeria, di fatto retrocessi a semplici organismi burocratici che intervengono successivamente per apporre i crismi necessari all'emanazione dei provvedimenti legislativi.
E' un fenomeno noto da tempo e sicuramente inquietante che contribuisce alla crescente e ormai generale disaffezione per la politica, in un'Italia dei poteri forti, delle lobbies, delle logge segrete, delle varie P2 - P3- P4.
Ancora più preoccupante in tempi come i nostri in cui il cosiddetto governo dei tecnici, uscito dal cilindro del presidente Napolitano, si regge su una alleanza inedita tra PD e PDL che in un sistema bipolare, a vent'anni dall'ingresso nel maggioritario, suona come una autentica bestemmia.
Precisazione necessaria soprattutto per rispondere a quanti, tra  politici e opinionisti, approssimandosi un'intesa ritenuta imminente tra  Bersani e Berlusconi sulla nuova legge elettorale, continuano a declamare le presunte virtù del sistema maggioritario che permetterebbe ai cittadini di scegliersi il premier: purtroppo questa tesi è smentita inoppugnabilmente proprio dalla nomina dell'outsider Mario Monti a capo del governo.
Questi leader politici sono così poco credibili e a mal partito (è proprio il caso di dirlo), che risulterebbe comico, se non fosse per altri versi tragico, sentirli difendere la politica del preside della Bocconi, partendo da posizioni ideologiche apparentemente opposte: domenica sera è stato il turno di Angelino Alfano, ospite su RaiTre di Fabio Fazio.
Ma assistere alle peregrinazioni verbali, flagellate da continui anacoluti, del suo omologo Pierluigi Bersani non è più confortante.
Tuttavia, in un logoro gioco dei ruoli, ciascuno di loro nelle continue comparsate televisive ancora ha l'impudenza di ammiccare al proprio elettorato di riferimento (se mai ancora ne vanta uno).
Quando, però sono costretti, in base all'agenda politica, ad accordarsi di persona,  per non esacerbare gli animi già esasperati dei loro sparuti sostenitori, optano per soluzioni estreme, come ad esempio appuntamenti al buio, magari in un tunnel sotterraneo. 
Già è successo nel sottosuolo di Roma tra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama  per il varo del governo di Mr. Monti.
Che questo strano andazzo segni se non la fine sicuramente la sospensione della democrazia  è opinione largamente diffusa: con l'Italia non messa meglio politicamente della Grecia dove l'omologo di Monti si chiama  Luca Papademos, uomo della BCE, e ha fatto varare, davanti ad un paese in rivolta, l'ennesima insopportabile manovra di austerity.
Purtroppo, i paesi dell'Europa mediterranea stanno subendo il ricatto delle banche che, dopo aver provocato la più grossa crisi finanziaria dell'età moderna, invece di renderne conto, anche sul piano penale, ai cittadini e alle istituzioni del proprio paese, le hanno occupate con la complicità della politica, infischiandosene altamente della sovranità popolare.
Così mentre la Grecia brucia, i giornali titolano schizofrenicamente che "le borse e i mercati respirano", poiché il Parlamento di Atene, con la pistola puntata alla tempia dalla troika europea (BCE, FMI, UE), ha mandato giù l'ennesimo boccone amaro tra pesanti tagli al salario minimo, licenziamenti e ticket sulla sanità.
Nel frattempo, il governo Monti, che soltanto due mesi fa aveva  approvato la sua prima manovra antipopolare (l'ennesima del 2011), si accinge adesso con incontri alla chetichella  a varare una riforma del mercato del lavoro destinata ad affondare i colpi nella carne martoriata del lavoro dipendente.
Nessuna sorpresa: è tutto sommato normale che in una democrazia sospesa, commissariata da un ex consulente della banca d'affari americana Goldman Sachs e fresco di ritorno da un viaggio trionfale negli States, il governo sospenda l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come abbiamo più volte ripetuto, la sospensione di tale articolo non ha alcuna spiegazione economica ma è un intervento squisitamente politico con cui suggellare, anche sul piano  simbolico, il passaggio epocale da una repubblica fondata sul lavoro a uno stato oligarchico dominato dalle banche.
In altre parole, la presunta enfatizzata 'modernità' del mercato del lavoro, per effetto del venir meno della tutela del reintegro obbligato in caso di licenziamento discriminatorio, consiste proprio nel lanciare alle multinazionali un esplicito messaggio di resa del nostro welfare al far west imposto dalla globalizzazione.
Di ciò Monti non ha fatto mistero: "per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani" ha dichiarato in una recente apparizione a RepubblicaTv.
Eppure, oltre alla inconsistenza di un qualche nesso logico, non c'è alcuna evidenza empirica che l'abolizione di tale tutela possa generare un solo posto di lavoro in più.
E anche sul piano numerico, l'applicazione dell'articolo 18 è assolutamente insignificante: secondo dati della Cgil, negli ultimi 5 anni di 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi solo l'1 per cento si è conclusa con il reintegro nel posto di lavoro.
Ma allora quale la ragione di tanto accanimento?
"Ce lo chiedono le multinazionali" fanno capire Monti e Fornero, confermando che nell'Italia commissariata dai tecnici contano molto di più le grandi concentrazioni finanziarie che la sovranità popolare, quand'anche, come in questo caso, la loro richiesta manchi di qualunque presupposto scientifico se non il riflesso condizionato di un capitalismo primordiale, da animal spirits.
E' accettabile che il presunto governo dei tecnici ponga mano ad un epocale arretramento del diritto del lavoro senza che la collettività venga direttamente investita della questione?
Questione che, al di là delle mere valutazioni di carattere economico, resta comunque  intrisa di profondi significati ideali, storici, di conquista sociale e di innumerevoli riferimenti costituzionali.
Infine, è ammissibile che si faccia carta straccia di due successive consultazioni referendarie che ancora nel 2000 e nel 2003 hanno sancito il rifiuto popolare a prendere in considerazione questo argomento?
Ma il solo doverci porre simili interrogativi è sintomatico del fatto che se Atene piange, Roma non ride.

PS (15 febbraio 2012 h. 14.30): Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio, a pagina 9, conferma la ricostruzione di Massimo Giannini avendo saputo da fonte qualificatissima che all'incontro tra Mario Monti e Susanna Camusso era presente proprio il direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
In un sol colpo, doppio sbugiardamento per il premier e il numero 1 della Cgil!
A questo punto, almeno un altro paio di domande sono d'obbligo: perché la Presidenza del Consiglio e il primo sindacato italiano si espongono così tanto nel negare l'incontro? Perché Repubblica dà addirittura per fatto un accordo di massima, commettendo un'evidente scorrettezza nei confronti della Camusso in mancanza di evidenze documentali? 

domenica 29 gennaio 2012

L'appoggio di Bersani al governo Monti: ormai il PD è il Partito dei Dinosauri

"Noi siamo a sostegno del governo Monti senza se, senza ma e senza tacere le nostre idee. E' chiaroo?"
La battuta del segretario Pierluigi Bersani all'Assemblea nazionale del PD domenica scorsa nel corso di un intervento di oltre mezz'ora la dice lunga sullo stato confusionale in cui versa il suo partito, ormai nelle mani di un'oligarchia che ha perso completamente il senso della realtà, lontano anni luce dalla propria base elettorale.
In fondo questa frase è l'epitaffio sopra un'esperienza politica ormai da declinare al trapassato remoto.
Dove possa andare un partito che non ha più una rotta ideologica da seguire e che naviga a vista sotto costa è presto detto: o riesce a riparare in un porticciolo turistico affiancandosi ai megayacht di qualche pregiudicato prestato alla politica oppure, più probabilmente, rischia di fare la fine  della Costa Concordia, adagiandosi su un basso fondale per essersi spinto troppo in là con gli inchini verso i poteri forti, dimenticando di schivare gli scogli dell'emergenza economica e sociale.
Perché il governo Monti, ormai è chiaro, rappresenta il volto migliore del vecchio ministero Berlusconi: come tale si è accreditato agli occhi della cancelliera tedesca Angela Merkel per aver promesso (e mantenuto, a differenza dell'uomo di Arcore!) una politica di grave austerity economica e di tagli dichiaratamente antipopolari.
Il tutto edulcorato con i fuochi d'artificio di una propagandata manovra su liberalizzazioni e semplificazioni che, al di là del polverone mediatico,  non sfiora neppure le rendite dei grandi monopoli (banche, assicurazioni, media, concessionari di pubblici servizi), lasciati completamente indisturbati.
La panzana che comunque queste misure porteranno ad un aumento del Pil del 10% (come e in quanto tempo?) è poi degna del miglior Berlusconi.
'Fare ammuina' sembra l'imperativo di queste settimane del premier Monti che fa digerire la pillola amara della recessione, delle tasse, dei tagli al welfare e dell'assenza di un qualsiasi improcrastinabile intervento di redistribuzione del reddito, con operazioni di facciata che non cambiano di un'acca i termini della tragedia sociale in atto.
E il Pd che, apparentemente non aveva fatto sconti al Cavaliere, d'improvviso è soddisfatto di quella stessa politica, adesso drammaticamente operativa, a guida bocconiana.
Fortunatamente, da questo PD, alias Partito dei Dinosauri, la gente comincia a prendere le distanze, delusa e umiliata dal grande imbroglio, dall'inciucio di sempre.
Perché i Bocconi amari da inghiottire non si contano più.
Ma come? Fino all'anno scorso, la riforma Gelmini sulla scuola era la pietra dello scandalo e ora che con Monti sta andando a regime, tutto tace dalle parti di Bersani e Veltroni! Per non parlare della legge 240 sull'Università.
E le leggi ad personam varate da Berlusconi per salvarsi dai processi? Possibile che Violante & c. ce l'abbiano più con le intercettazioni che con la ex-Cirielli che manderà in fumo, assieme ad altri 200.000 processi, quello Mills contro il Cavaliere?
Intanto si profila un'altra amnistia, più o meno mascherata, con il ventilato provvedimento 'Svuotacarceri' , tanto per dare la certezza matematica ai colletti bianchi di non varcare, mai e poi mai, le patrie galere: naturalmente con l'allegra brigata PD-PDL in perfetta sintonia.
E sul piano economico, possibile che non ci sia uno straccio di politica industriale che impedisca o almeno rallenti il processo di delocalizzazione in atto tra le imprese italiane che sta mandando a casa, peggio, in mezzo alla strada, decine di migliaia di lavoratori? E che il PD non se ne faccia carico?
O che il PD non imbracci la vittoria referendaria per contrastare il tradimento che della volontà popolare si sta consumando con la privatizzazione dei servizi pubblici locali?
Giovedì sera, nello studio di Michele Santoro, il vicesegretario democratico Enrico Letta, già nipote di cotanto zio,  si è guardato bene dall'addossare la responsabilità del disastro in cui ci dibattiamo al governo di Silvio Berlusconi, preferendo esaltare Ciampi e Prodi per l'ingresso dell'Italia nell'Euro.
Scelta che oggi, sia pure ampiamente col senno di poi, è sotto gli occhi di tutti essere stata sciagurata. Ma il pizzinaro Letta, buon per lui, è convinto del contrario!
Per fortuna, mentre i Dinosauri del PD corrono dritti dritti verso l'estinzione (basterà ancora qualche altra sortita di Bersani!), con i loro ex elettori che si vergognano intimamente di averli mai potuti votare, sta finalmente venendo fuori qualcosa di nuovo.
A Napoli, il cosiddetto Partito dei sindaci, con in testa il primo cittadino Luigi De Magistris, nel "Forum dei Beni Comuni per i Beni Comuni", denuncia la svendita di beni primari come scuole, asili, ospedali e di tanti altri beni pubblici in nome di un malinteso federalismo demaniale rivendicando la rilevanza costituzionale del soddisfacimento dei diritti fondamentali di cittadinanza.
A Torino, intanto, sfilano i No Tav dimostrando pacificamente che nessuno, meno che mai un'oligarchia  incompetente e la cui credibilità è prossima allo zero, può pensare di ridurre un problema squisitamente politico, cioè l'opportunità economica e sociale di un progetto così impattante per l'ambiente e per le comunità locali, a pura questione di ordine pubblico.
Insomma, mentre la Casta dei corrotti, dei bolliti e dei dinosauri si trincera dietro il governo dei tecnici, la società civile prova finalmente ad alzare la testa.

sabato 14 gennaio 2012

Dalla Casta alla Cosca

Questa settimana ci restituisce purtroppo la fotografia di un Paese che, letteralmente, affonda.
L'immane e per certi versi surreale tragedia che si sta consumando in queste ore davanti agli scogli di granito dell'isola del Giglio dove la maxinave Concordia sta affondando seppellendo a pochi metri dalla spiaggia, con un triste sacrificio di vite umane e danni materiali incalcolabili, il mito dell'inaffondabilità di questi giganti del mare, finisce per trasfigurarsi in quella di un Paese che, da mesi risucchiato in una tempesta finanziaria ed economica di inaudita portata, ha perso completamente la bussola, ostaggio di una classe politica che peggio non potrebbe immaginarsi.
La giornata di giovedì ci regala a Montecitorio gli applausi calorosi con cui i cosiddetti onorevoli hanno salutato il salvataggio dalle patrie galere per un pugno di voti (309 contro 298) di Nicola Cosentino, coordinatore campano del Pdl, accusato dalla magistratura di essere il referente politico del clan camorristico dei Casalesi.
A questo risultato ha contribuito in maniera determinante il gruppo dei sei radicali eletti nel Pd che hanno espressamente votato contro le indicazioni di partito, malgrado lo scrutinio segreto: ennesimo frutto avvelenato della stagione di Walter Se po' ffà Veltroni la cui pesante eredità (basti solo pensare all'assurda candidatura nel 2008 di Massimo Calearo da lui caldeggiata), è ben lungi dall'essere superata.
Ma giovedì è arrivato pure il temuto verdetto della Corte Costituzionale, inopinatamente preannunciato da giorni, che boccia i referendum sulla legge elettorale togliendo a moltissimi Italiani (più di 1.200.000 firme raccolte in poche settimane nel  settembre scorso!) la possibilità di fare piazza pulita, per via democratica, di una classe politica che, con la votazione su Cosentino, si è rivelata ancora una volta essere una vera e propria piaga d'Egitto.
Incapace di autoemendarsi, di limitare i propri vergognosi privilegi, non ultimo quello di farsi giudicare e di varcare la soglia del carcere alla stregua di un comune cittadino.
Insomma una casta che si fa cosca e che dell'organizzazione mafiosa mutua sia le procedure di reclutamento (il Porcellum ne è la dimostrazione lampante) sia il linguaggio; per non parlare dei comportamenti.
Mettere in piedi  in qualche ora un processo dentro il Parlamento contro i magistrati campani che hanno avuto la 'colpa' di sollevare lo sguardo, tra le 57 persone finite sotto inchiesta per reati gravissimi, sulle malefatte di uno di loro (che ha pensato bene nel frattempo di farsi nominare parlamentare da Silvio Berlusconi), non è forse un atto di grave irresponsabilità e che getta totale discredito sulle nostre Istituzioni?
Come è possibile per il Partito democratico restare un attimo ancora a spalleggiare i giochi sporchi che si consumano ormai continuamente e alla luce del sole nei palazzi della Politica?
Ah,  dimenticavamo, accanto alla ignominiosa fine politica della Lega di Bossi, il triste mattatore della giornata è stato sicuramente Pierluigi Bersani, segretario democratico, che dopo aver ripetutamente risposto infastidito in questi mesi a chi gli chiedeva se avesse firmato per i referendum, che "il Pd ha contribuito alla raccolta (delle firme, nda) con i suoi banchetti", adesso ci fa sapere che il referendum lui non l'ha firmato.
Il massimo della lealtà, della chiarezza di idee, della coerenza e della trasparenza di fronte ai cittadini!
Di fronte al disastro morale e materiale in cui sta affondando il nostro Paese, speriamo che un personaggio del genere (del tutto assimilabile ai suoi colleghi del Pdl), subisca finalmente e in buona compagnia con i vari Veltroni, D'Alema, Letta, ecc.,  una sonora batosta alle prossime elezioni.
Certo, proprio grazie alla legge elettorale porcata di Calderoli che resterà in vigore con la complicità di tutti e grazie al pronunciamento della Corte, già da adesso Bersani ha la certezza di rimanere in Parlamento, naturalmente a spese dei contribuenti. 
Ci basterà sapere, comunque, che ha preso il posto di Scilipoti agli occhi dell'opinione pubblica.
Perché, prima o poi, questo sconcio dovrà pur finire!

sabato 24 dicembre 2011

Lo spread che non scende: il bluff del governo Monti

La manovra del governo Monti, un confuso accrocchio di tasse destinate a colpire esclusivamente pensioni, lavoro e redditi bassi, ha avuto nella settimana di Natale il via libero definitivo dal Senato. 
La Casta l'ha votata compatta, anche se con qualche ulteriore defezione, facendo finta di guardare da un'altra parte; anzi, senza ritegno, di lamentarsene con i propri elettori.
E' dovuto intervenire lo stesso Mario Monti a svelare il doppio gioco: «Vorrei dire ai cittadini che l`appoggio che questo Governo sta ricevendo è molto più grande di quello che i partiti lasciano credere o dichiarano».
Insomma il capo del governo non ci sta a fare il capro espiatorio di una situazione che si sta avvitando su se stessa e che, anche grazie ai suoi uffici, sta diventando di giorno in giorno più difficile.
Lo scenario in queste due ultime settimane si è fatto infatti ancora più scuro e inquietante.
La manovra del preside Monti e di quei professoroni è appositamente studiata per far versare lacrime e sangue ai soliti noti: lavoratori, pensionati, famiglie a basso reddito.
Non c'è un solo provvedimento che riesca semplicemente a fare il solletico ai ricchi: viene il sospetto che tutte le misure siano state studiate proprio per non disturbare più di tanto il manovratore, cioé la nostra avida classe dirigente.
Un esempio? La tassa sulle attività finanziarie.
E' stata congegnata dai tecnici ministeriali come un'imposta di bollo con aliquota pari all'1 per mille nel 2012 e all'1,5 per mille nel 2013. Ma attenzione: nel 2012, oltre al limite minimo di 34,2 euro, è previsto un tetto massimo di 1.200 euro.
Traduzione: se, da morto di fame, hai titoli per 1'000 euro paghi di bollo il 3,42%; ma se hai in banca 10 milioni ne paghi solo 1'200 euro, cioè lo 0,01%. Alla faccia dell'equità.
E del conflitto d'interessi: raccontano le cronache che il superministro Corrado Passera possiede, titolo più titolo meno, solo in stock options per essere stato amministratore delegato di Intesa San Paolo, 7 milioni di azioni; al prezzo di ieri, antivigilia di Natale, fanno  la bella cifra di 9.170.000 euro.
E di bollo paga solo il massimo stabilito: i famosi 1'200 euro ovvero lo 0,013% del gruzzolo accumulato. Decisamente conveniente: un risparmio di circa 8'000 euro!
Quanto all'asta sulle frequenze televisive, tutti hanno potuto vedere con quanto imbarazzo e quale circospezione ha promesso di intervenire, incalzato da Fabio Fazio domenica scorsa nella puntata di Che tempo che fa.

E sull'impegno assunto che dopo la fase 1, questa del rigore, si passerà alla fase 2 della crescita, si tratta della classica leggenda metropolitana, di cui è lastricata la storia d'Italia, almeno  da vent'anni a questa parte.
Anche perché una manovra che sia severa e oculatamente iniqua, come quella varata da Mario Monti, non solo è moralmente e politicamente inaccettabile ma, a dispetto della nutrita pattuglia dei benpensanti che ne colgono le magnifiche sorti e progressive, economicamente insostenibile in quanto gravemente recessiva.
Non è un caso che l'Istat, dopo aver esitato a lungo, abbia comunicato che il terzo trimestre del 2011 si è chiuso con un Pil a -0,2%: ovvero, grazie alle due-tre manovrine di Tremonti, già dall'estate scorsa siamo entrati in recessione.
Immaginate adesso come si possa chiudere il 2011, dopo che il collegio dei docenti ha deliberato di accanirsi sul fu ceto medio.
Ecco perché il famigerato spread non scende: se all'insediamento di Monti stava a 518 punti, ieri a manovra approvata, è rimasto a lungo a quota 515 per poi ritracciare comunque sopra i 500.
Ma non ci avevano detto che andando in pensione a 70 anni e con quattro centesimi di vitalizio, o non andandoci per niente immolati sul posto di lavoro, lo spread sarebbe velocemente sceso e gli Italiani (non la Casta!) avrebbero vissuto finalmente felici e contenti?
Panzane o meglio la solita bugia pietosa per far inghiottire la pillola amara a milioni di Italiani.
Che poi questa non sia una medicina ma si riveli un veleno letale e rischi addirittura di far stramazzare il nostro paese è un dettaglio che i media si guardano bene dal far trapelare.
Stamattina Massimo Giannini parla di circolo vizioso tra il debito pubblico che non si scalfisce e un Pil che tracolla; purtroppo tutto ciò era ampiamente prevedibile, non bisognava essere un pozzo di scienza per pronosticarlo da mesi.
Così fa bene Scalfari, freschissimo di figuraccia con le sue fasulle previsioni da 'tecnico', a tentare di farcele dimenticare girando per un po' alla larga dall'attualità economico finanziaria per interrogarsi, molto più innocuamente e soavemente, sul senso della vita con il cardinale Martini.
Fa male, invece, il suo vicedirettore Massimo Giannini  quando attribuisce la disfatta di Monti alle incertezze di Eurolandia (ripetendo il leitmotiv di Berlusconi di tutta l'estate) ma soprattutto al quadro politico instabile e alla fragilità di un governo sostenuto, come dice lui, da "azionisti riluttanti".
Si tratta di un grossolano abbaglio.
Mai nella storia repubblicana un governo ha potuto contare su numeri in Parlamento così larghi, nonostante diffusi mal di pancia.
Il fatto è che, grazie ad un Pd del tutto irrilevante, le misure adottate da Monti sono le stesse che avrebbe adottato Berlusconi se fosse restato in sella: antipopolari e recessive.
Perciò i mercati non si fidano: come scommettere su un Paese, acquistandogli i titoli del debito pubblico, quando il suo Pil è in caduta libera proprio grazie al governo Monti?
Se Bersani nel frattempo non si fosse ritagliato il ruolo di comparsa, restando assente dal dibattito politico e intervenendo a giochi fatti, sospinto sulla scena solo dai mugugni del partito persino su una questione cruciale come  l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, probabilmente si sarebbe potuto fare una manovra che, a parità di saldi, avrebbe potuto essere non solo equa ma di stimolo per l'economia.
Costringendo finalmente a pagare evasori fiscali e quanti vivono ben al di sopra dei propri meriti.
Pure l'intervento correttivo sulle pensioni d'oro (quelle dai 200'000 euro annui in su)  promesso dal ministro del Welfare Elsa Fornero è stato alla fine ridimensionato: dal 25% di contributo annunciato al 15% deliberato.
Insomma, mentre i problemi finanziari restano intatti e quelli economici, abbandonati a se stessi, si complicano con conseguenze forse irrimediabili, si insiste a parlare di flessibilità del mercato del lavoro.
Un paese allo stremo, senza una politica industriale, con un equilibrio sociale sempre più precario, con servizi pubblici allo sfascio, collegamenti ferroviari che spaccano in due il paese, si permette però il lusso di acquistare dagli USA tra i 15-20 miliardi di cacciabombardieri d'attacco, rifinanziare le missioni militari all'estero, firmare il contratto con la Francia per l'avvio dei lavori per la TAV impegnandosi come prima tranche per 2,7 miliardi.
Roba da matti, come non dice in questo caso l'ineffabile Pierluigi Bersani.
Buon Natale.

lunedì 5 dicembre 2011

Dentro la macelleria Monti, Bersani fa il pesce in barile

E' molto interessante leggere oggi l'analisi del vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini, sulla manovra appena varata dal governo Monti.
Riconosce che "dal governo dei Professori ci saremmo aspettati qualcosa di più" ma ritiene che si sia fatta "un po' meno 'macelleria sociale' di quanto si temeva".
Poi affonda il colpo: "Non serviva un autorevolissimo tecnico prestato alla politica come Monti, che con i suoi atti ha combattuto in Europa i grandi trust del pianeta e che con i suoi articoli si batte da anni per la modernizzazione del Paese, per varare una manovra che ha comunque un vago sapore di stangata vecchio stile. Non serviva una squadra d'élite per mettere insieme un pacchetto di misure che comprendono la solita infornata di imposte per i contribuenti e la solita carestia di risorse per gli enti locali."
Il giudizio è talmente negativo che non richiede ulteriori commenti. Anche per Giannini è sconcertante che la manovra sia in gran parte fatta di aumenti di imposte e tasse (ben 17 su 30 miliardi), tenuto conto che la pressione fiscale per Bankitalia viaggia e viaggerà (a maggior ragione nel prossimo biennio) su livelli record.
Adesso non staremo lì a stroncare, uno ad uno, i singoli provvedimenti.
Comunque, il quadro tracciato non lascia adito a dubbi: la manovra è profondamente iniqua.
Infatti Giannini è costretto ad ammettere, ad uso e consumo dei suoi lettori,   che "Con la pistola del Cavaliere alla tempia, il premier ha dovuto rinunciare a spostare drasticamente il prelievo, dal reddito al patrimonio. È deludente che un governo tecnico non sia stato in grado di varare un'imposta sulle grandi fortune sul modello francese, e non abbia nemmeno tentato di riequilibrare l'imposizione sulle rendite finanziarie (ferma al 20%) rispetto a quella sul lavoro (ormai a quota 36%)."
Così come è stato fatto un buco nell'acqua nel contrasto all'evasione fiscale (che ogni anno vale 120 miliardi di euro, all'incirca il totale delle cinque manovre fatte nel 2011).
Insomma: non è colpa di Monti se la manovra è inguardabile.
Per i vertici di Repubblica, la colpa è ancora una volta del Cavaliere (sempre lui), che ha preteso dal Professorone ampie rassicurazioni sulla mancanza di un'imposta patrimoniale e di una seria lotta agli evasori.
Diamo per buona questa interpretazione. Ma il leader dell'opposizione che fu, Pierluigi Bersani, che cosa ci stava a fare nel frattempo?
Ad accettare supinamente i diktat berlusconiani? E a farsi non solo passare sopra la propria testa una riforma delle pensioni, spietata, ma persino quella che Giannini riconosce come la "tassa sul pensionato", cioè il blocco della rivalutazione dei vitalizi sopra i 940 euro mensili. 
Traduzione bocconiana: l'inflazione? Scarichiamola su pensionati poveri e dipendenti col contratto bloccato!
Bersani, che ieri sera si è detto "parzialmente deluso" (ma anche, come direbbe Se po' ffà Veltroni, parzialmente soddisfatto), facendo la sua consueta parte di pesce in barile, non è riuscito neppure a spuntare che sui capitali già scudati a suo tempo col misero 5% da Tremonti, fosse fatta pagare una maggiorazione più alta dell'innocuo1,5%.
Soltanto per fare un paragone, l'Inghilterra farà pagare il 50% dei redditi generati sui conti svizzeri dai cittadini di sua Maestà, oltre una sovrattassa.
La macelleria Monti, che notoriamente non fa sconti a nessuno, chissà perché, a coloro che hanno portato illecitamente i capitali all'estero, spesso di matrice criminale, concede un privilegio incredibile: solo il 6,5% di tassazione.
Insomma anche questa volta, l'incorreggibile PD lascia che la sua gente venga fregata alla grande, all'ombra del governo tecnico. Bravo Bersani!
Ragassi! 'Sto segretario qui è proprio un portento!


venerdì 11 novembre 2011

No, caro Bersani, prima dell'Italia vengono gli Italiani!

Il Partito Democratico, con la copertura mediatica del gruppo De Benedetti-Repubblica e di RCS-Corriere della Sera, si sta preparando a consumare l'ennesimo tradimento nei confronti di quello che è il suo elettorato di riferimento: lavoratori, pensionati, donne e giovani in cerca di prima occupazione, precari e disoccupati.
Prendendo spunto dalla tempesta finanziaria scatenata dall'estero con la partecipazione straordinaria di grosse banche d'affari americane e che mira ad annientare l'euro per riportare il derelitto dollaro di nuovo al centro della scena economica internazionale, sta siglando una patto indecente con Silvio Berlusconi per dare vita ad un nuovo esecutivo dove siederebbero insieme uomini del Pd e  del Pdl.
Così, forse, potrebbero ritrovarsi in consiglio dei ministri zio Gianni e il nipote Enrico Letta, che la malasorte per troppo tempo ha visto schierati inopinatamente su fronti avversi... e poi vivranno tutti felici e contenti!
In gioco non c'è la credibilità internazionale dell'Italia, come ci propinano le finte Cassandre di destra e di sinistra, già allo zero assoluto per la presenza da diciassette anni nella cabina di comando di un personaggio pittoresco come Silvio da Arcore, il buon samaritano che aiuta le ragazze in difficoltà pure di notte, ma ciò che resta dello stato sociale che questa inedita armata brancaleone si appresta a smantellare gridando al lupo al lupo!
A chiacchiere se ne sono date di santa ragione almeno da dieci anni a questa parte, con le maiuscole eccezioni dei due litiganti Massimo D'Alema e Walter Veltroni sempre pronti ad improvvise aperture di credito in bianco nei confronti di Berlusconi.
Ma adesso si ritroverebbero insieme appassionatamente a gestire la macelleria sociale.
Caro Silvio, posso? Ma certo, carissimo Pierluigi, il primo colpo di mannaia spetta a te!
Due visioni della politica opposte, due ricette economiche alternative, che adesso troverebbero una incredibile imprevista sintesi, griffata dall'ex commissario europeo Mario Monti, già consulente per Goldman Sachs e membro del Gruppo Bilderberg, senza dover dare spiegazioni a nessuno in nome di un millantato interesse nazionale.
E' la quadratura del cerchio, o meglio l'unipolarismo della Casta.
Il problema è che per pensare all'Italia (quale Italia, quella che mangia di lusso con pochi spiccioli in Parlamento o l'Italia delle banche e dei poteri forti?) si sacrificano gli Italiani, cioè quelli che, nella migliore delle ipotesi, si ammazzano tutto il giorno con stipendi da fame, o si godono generosissimi vitalizi dall'alto dei loro 500 euro mensili; a cui verranno inflitti nuovi pesantissimi tagli di spesa e di diritti.
Del resto, Ragasssi, siamo o no un popolo benestante? Non è vero che i ristoranti sono sempre pieni??
Ecco perché è questione di sopravvivenza per Bersani, per non essere colto in trappola e trovarsi isolato dilapidando in poche settimane il tesoretto elettorale che i sondaggi gli attribuiscono, cooptare nell'invincible armada quella testa calda di Antonio Di Pietro a cui non più tardi di stamattina ha rivolto l'ennesimo, struggente appello al concorso esterno in associazione a macellare: "Ripensaci, viene prima l'Italia".
L'invito che invece noi giriamo al Tonino nazionale è, giustamente, proprio quello a suo tempo pronunciato in altro frangente dal suo ex capo del pool di Milano Francesco Saverio Borelli:
"Resistere, Resistere, Resistere!"

giovedì 10 novembre 2011

E' partita la campagna di Repubblica per un governo Monti lacrime e sangue

Messa da parte la barzelletta del governo Berlusconi, è partito l'affondo della corazzata del finanziere De Benedetti, il gruppo Repubblica - l'Espresso, a favore di un governo tecnico guidato dal bocconiano Mario Monti ed eterodiretto dal direttorio Merkel Sarkozy.
Obiettivo: spremere a fondo gli Italiani con operazioni su larga scala di macelleria sociale, senza assumersene la responsabilità politica, trattandosi di un governo che non riceverà un mandato dal popolo ma la cui investitura avviene solo a furor di mercati, sotto l'incalzare della speculazione internazionale.
Si consuma così fino in fondo un furto di sovranità popolare per mano della tecnocrazia europea che in questi mesi ha trovato nel governo di centrodestra diretto dall'uomo di Arcore un bersaglio sin troppo facile da colpire.
In un sistema bipolare, stringere la tenaglia Pd-Pdl per costituire un governo che non risponde a nessuno se non alla coppia Bersani-Berlusconi e all'ineffabile Casini, vuol dire costituire un unipolarismo che ha come missione esclusiva quella di sporcarsi le mani per prendere decisioni irrevocabili sopra la testa della gente, senza che questa venga interpellata o possa eccepire alcunché.
Vuol dire darla vinta all'attacco speculativo arrivato da lontano.
Al gravissimo danno del governo Berlusconi seguirebbe quindi la memorabile beffa del governo Monti, con buona pace di chi ancora crede nella democrazia rappresentativa.
Paradossalmente questo sarebbe il trionfo della Casta, che si fa scudo della tempesta internazionale per infliggere il colpo mortale allo stato sociale e ai cittadini che ormai all'unanimità la disprezzano.
In nome di cosa il Pd di Pierluigi Bersani, l'Udc di Pierferdinando Casini e il Pdl di Silvio Berlusconi, con il beneplacito del presidente Giorgio Napolitano, possano gettare alle ortiche le proprie piattaforme programmatiche su cui avevano ricevuto il consenso nelle Politiche del 2008, senza doverne preventivamente rendere conto al corpo elettorale, è questione che attiene  al funzionamento costituzionale della nostra democrazia che neanche l'eccezionalità del momento può sovvertire.
L'attacco proditorio mosso ad Antonio di Pietro dalle colonne di Repubblica, facendo credere che i suoi sostenitori tifano per il governo tecnico e disapprovano in larga maggioranza  la posizione espressa dal leader dell'Italia dei Valori di netta opposizione ad un tale esecutivo, è la riprova dello stato miserevole in cui versa il centrosinistra che, quando pure riesce a liberarsi del fantasma del Cavaliere, si trova in balìa dei cosiddetti riformisti, alias poteri forti, sempre pronti a scatenargli contro una campagna mediatica di inaudita portata, da far impallidire per virulenza la berlusconiana macchina del fango.
Chi decreterà la fine dello stato sociale per colpa della finanza mondiale impazzita, riducendo sul lastrico milioni di persone e quasi per intero il ceto medio, deve avere una chiara investitura popolare che non può che passare per elezioni anticipate.
Nel frattempo, un altro governo di centrodestra a guida Gianni (non Enrico!) Letta o Angelino Alfano deve approvare rapidamente la legge di stabilità, concordare con l'opposizione una nuova legge elettorale e poi, di corsa, mandarci a votare tra il febbraio e il marzo 2012, presentandosi con  il proprio fallimentare bilancio dinanzi al popolo sovrano.
E' la democrazia, bellezza!
Scherzare con il fuoco, dispensando urbi et orbi il messaggio subliminale che la bancarotta finanziaria dell'Italia sia solo questione di giorni o addirittura di ore, denota grave spregiudicatezza politica e assoluta mancanza di senso dello Stato, un pessimo biglietto da visita per chi dovrà farci dimenticare il nefasto ventennio di Silvio Berlusconi.
Anche perché, disgraziatamente, questo riprovevole espediente serve a far digerire agli Italiani una medicina amarissima ma soprattutto letale. 

mercoledì 27 luglio 2011

La class action del PD: ormai siamo alla farsa...

Raccontano le cronache che il leader democratico Pierluigi Bersani questa volta se la sia presa presa davvero a male.
Sollecitato da più parti a prendere posizione sulla scottante questione morale all'interno del suo partito (la più autorevole è stata la lettera aperta di Marco Travaglio dalle colonne del Fatto Quotidiano di domenica scorsa), dopo le ultime imbarazzanti vicende che hanno visto per protagonisti, in casi giudiziari diversi,  il consigliere Enac Franco Pronzato, coordinatore dell'area Trasporti dei democratici, il capo della segreteria Filippo Penati (all'epoca dei fatti sindaco di Sesto San Giovanni) e il senatore Alberto Tedesco, risparmiato dall'arresto da una decisione parlamentare a dir poco rocambolesca, dopo giorni di silenzio ha ammesso la mancanza di una diversità genetica del PD.
Lo sospettavamo da tempo! Quanto poi a rivendicare una presunta diversità politica come egli fa in questa occasione, beh, per una volta ci risparmi inutili chiacchiere...
Fatto sta che  trovandosi in una posizione politicamente sempre più scomoda, Bersani ha evocato la famigerata macchina del fango che sarebbe in azione contro il suo partito, minacciando sfracelli se non verrà messa a tacere, ovvero querele e, udite udite, una class action degli iscritti a tutela del buon nome del PD.
La qual cosa più che preoccupare fa sorridere, ricordando la famosa raccolta di dieci milioni di firme per le dimissioni di Berlusconi su cui, per carità di patria, è meglio stendere un velo.
'Ragasssi ma siam passi? Non stiam qui a farci rosolare le chiappe...' gli potrebbe mettere in bocca qualche noto comico.
Purtroppo per Bersani e per tutta la politica di questo Paese, c'è poco da scherzare: da mesi sta soffiando, sempre più impetuoso, un vento d'insofferenza verso la Casta, incapace di mandare un segnale forte di efficienza o almeno di rinnovamento e di pulizia.
Ha ragione Beppe Grillo quando dice che PD e PDL sono le facce di una stessa medaglia, senza più valore, che neppure uno sprovveduto accetterebbe più in pagamento.
Ma questi politici dell'Italia del bipolarismo continuano a fare finta di niente, a non spiegare ai cittadini perché al peggio berlusconiano si debba necessariamente contrapporre sempre il solito male dell'opposizione che, con i suoi scheletri nell'armadio, è da tempo bloccata, incapace di rappresentare una valida alternativa al pericoloso governo di Silvio Berlusconi.
Quando finalmente la magistratura interviene e scopre i rispettivi altarini bipartisan, ecco che tutti i leader politici fanno finta di cadere dalle nuvole, come se fossero vissuti fino a quel momento da un'altra parte, mentre dovrebbero essere perfettamente consapevoli di aver costruito il loro consenso elettorale proprio attraverso il metodo delle cordate, dello scambio di favori, degli appalti non trasparenti, delle clientele, delle burocrazie ipertrofiche, avendo rinunciato in partenza a far prevalere la forza delle proprie idee con gli strumenti della politica, in primis la partecipazione e la condivisione delle scelte con i cittadini.
Sì, caro Bersani, dentro quella parte di sinistra che tu dichiari di rappresentare c'è stata una vera e propria mutazione genetica che ha implementato i geni dell'affarismo in una cultura politica che già nella denuncia di Enrico Berlinguer di trent'anni fa era stata contaminata dal virus della partitocrazia.
E' proprio lì, alla fine degli anni Settanta, che si è spezzato il filo della rappresentanza tra gli eletti e gli elettori.
Ecco perché la Casta dei partiti e dei politici oggi è vera antipolitica, non quella dei movimenti spontanei che si stanno finalmente riappropriando delle questioni collettive, esprimendo un bisogno sincero di partecipazione e di contare realmente nelle scelte pubbliche.
Non c'è più spazio (né tempo!) per l'ipocrisia e le solite liturgie della prima e della seconda repubblica.
La misura è ormai colma. 
La vera class action è contro di voi!

lunedì 27 giugno 2011

E Bersani, leader di cartapesta, appoggia il governo contro i No Tav

Di fronte alle drammatiche notizie provenienti dalla Val di Susa con il governo Berlusconi che militarizza tutto e va all'assalto della popolazione, cosa fa Pierluigi Bersani, leader del PD? 
Per caso interviene in sua difesa? (come sarebbe suo compito, diremmo, istituzionale!).
Macché, addirittura tenta di criminalizzare il movimento, puntellando il governo e la sua svolta autoritaria.
Sentite che cosa ha il coraggio di dire:
"Quelli di stamani in Val di Susa sono avvenimenti spiacevolissimi. C'è molta amarezza da parte nostra. Nel movimento no-Tav ci sono anche frange violente: negarlo significa assolverli e non siamo d'accordo".
Una grande ipocrisia con cui appoggia, neppure tanto velatamente, la spedizione punitiva di Maroni e del governo di centrodestra. Purtroppo per lui le immagini parlano chiaro: di presunti terroristi in Val di Susa non si vede ombra; al contrario, ci sono famiglie intere: madri, padri, nonni, nipoti, che si oppongono alla devastazione insensata della loro terra.
Bravo Bersani!
Come direbbe Maurizio Crozza, "Ragasssi, ma siam passsi?? Mica siam qui a buttar giù Berlusconi..."

lunedì 13 giugno 2011

13 giugno: per l'Italia è l'inizio di una nuova era!

Una magnifica giornata di tarda primavera ha visto soccombere sotto una valanga di sì i tentativi della tecnocrazia di destra e di sinistra di fare strame della nostra democrazia, prendendo decisioni strategiche per il futuro del nostro Paese sopra la testa di noi cittadini.
Le urne non lasciano adito a dubbi: oltre 25 milioni di Italiani hanno deciso di interrompere le loro faccende quotidiane per recarsi al seggio ed affermare che quello della gestione dei servizi pubblici locali, dell'energia nucleare, della legge uguale per tutti, sono materie su cui vogliono decidere in prima persona, malgrado il Presidente del Consiglio li abbia invitati a non andare a votare perché quesiti inutili!
Malgrado la RAI,  abbia cercato in ogni modo di occultare la consultazione popolare dando spazi minimi all'evento o inducendo in errore i telespettatori con i notiziari della principale fascia oraria che hanno addirittura sbagliato le date in cui si sarebbe svolta: qualcosa non solo di vergognoso ma, chiaramente, di illegale.
Come illegale è stato il tentativo maldestro del Ministro dell'Interno Maroni di dichiarare stamattina, ad urne aperte, che il quorum era stato raggiunto, in modo da disincentivare gli elettori dell'ultima ora ad andare a votare.
Vergognoso anche il tentativo di nascondere le immagini del Presidente Giorgio Napolitano che si reca al seggio e depone le schede referendarie nell'urna: una censura eversiva, mai visto niente di simile in televisione, dalla nascita della Repubblica.
Per non parlare dello sconcio dei telegiornali Mediaset, esperti confezionatori da vent'anni  dell'informazione di regime, che hanno praticamente ignorato il grande appuntamento elettorale.
E la vergogna mediatica ancora continua in queste ore!
Sulla tv pubblica, la linea diretta iniziata alle 15,00  su Rete Tre, a scrutinio ancora in corso, non trova di meglio che chiedere un parere a caldo al politico a sua insaputa, Claudio Scajola, lasciando poi campo aperto alle onnipresenti intemperanze di Ignazio La Russa; entrambi, naturalmente, fanno finta che non sia successo niente, anzi,  ribadiscono, come spudoratamente fa l'inquilino dell'appartamento con vista sul Colosseo, che l'energia nucleare resta la soluzione dei problemi energetici italiani.
Assurdo: la TV pubblica ancora stende il tappeto rosso a questi zombies mentre l'Italia in carne e ossa festeggia in un caleidoscopio di suoni e di colori dovunque, in casa e per strada, la fine di un'epoca (purtroppo non ancora di un incubo!). E quasi dimentica i fautori di questa apoteosi di popolo, Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e i comitati dei cittadini per l'acqua pubblica.
Nello studio della Berlinguer tocca accontentarsi di Rosy Bindi, dell'ex verde Francesco Rutelli, del giornalista à la page  Antonio Polito, mentre questo voto dimostra che gli Italiani hanno votato anche contro quei dirigenti del centrosinistra che per diciassette lunghi anni, se non altro con la loro ignavia, hanno reso possibile ad un politico improbabile come Silvio Berlusconi di diventare per quasi vent'anni il padre padrone della vita pubblica italiana.
Speriamo che stasera fischino le orecchie persino a Pierluigi Bersani, il Bersani, come dice Grillo, di quarta generazione, quello che è rimasto folgorato dalle sacrosante ragioni della battaglia referendaria appena in tempo per evitare l'ennesimo shock elettorale e mangiare la polvere dell'indignazione popolare contro il PD.
Ma adesso l'Italia è in festa: lasciateci brindare!

domenica 20 giugno 2010

Vertenza Pomigliano: il PD ha detto sì!

Non è un mistero che il Partito Democratico perseveri nel miracolo di perdere ulteriormente consensi, malgrado Silvio Berlusconi stia in caduta libera nei sondaggi da settimane.
E’ vero: in un sistema bipolare che maggioranza e opposizione calino entrambi sembra un paradosso prima ancora della matematica che della politica.
Ma farsene una ragione non è difficile. Il tutto si spiega, accanto alla disastrosa condotta del governo del Pdl, con un’opposizione del Pd assolutamente inaffidabile, povera com’è di cultura, di idee e di coraggio.
La riprova di ciò è rappresentata dall’ultima uscita del suo segretario, Pierluigi Bersani, ai microfoni di Radio anch’io, venerdì scorso.
Il notista politico Stefano Folli gli chiede un chiarimento sulla vertenza Pomigliano: "Ha detto sì sostanzialmente all’accordo con riserva. Questo sì con riserva non si presta un po’ a qualche ambiguità? Che cosa esattamente intende con questo sì con riserva?"
Gli risponde Bersani:
"Intendo questo: che tutti quanti, politici, sindacalisti, commentatori, eccetera, abbiamo detto e ripetiamo: Pomigliano è un caso particolare, per 2 motivi.
1° perché siamo di fronte per la prima volta in Europa ad un’impresa che rilocalizza, venendo dalla Polonia in Italia, caso veramente singolare e anche auspicabile e auspicato;
2° perché Pomigliano è uno stabilimento che ha una vicenda, ecco, con un eufemismo dirò… 'complessa'. No? Abbiamo dei dati, storici, di quello stabilimento che ne fanno una particolarità del caso italiano.
Quindi, la soluzione che è stata trovata e che avrà il voto dei lavoratori, che si pronunceranno e che va rispettato e che io mi auguro sia in condizioni di preservare l’operazione d’investimento, quindi questo è chiaro!...
Io chiedo solo che non venga questa soluzione venduta come soluzione di modello, perché l’accordo presenta alcune delicatezze quanto a diritti fondamentali, delicatezze che secondo me possono essere tranquillamente riassorbite, insomma, nel tempo se non ne facciamo un fatto ideologico, emblematico, modellistico e andiamo alla sostanza: i 18 turni, la riduzione dell’assentesimo… perché ci vuole!…il rispetto di decisioni quando si devono fare i sabati… e così via.
Però si sono toccati dei tasti che è opportuno sdrammatizzare e non impancare ad un modello. Ho sentito qualche voce dal lato del governo che mi ha preoccupato un po’… Tutto qua!
Quindi, molto pragmaticamente, credo che la cosa possa essere affrontata in via positiva."


Traduzione dal bersaniano: siamo favorevoli all’accordo, ma poiché lede diritti fondamentali dei lavoratori, abbiamo la necessità di avere le spalle coperte sul piano mediatico. Se qualcuno del governo ne vuole fare una bandiera ideologica, siamo preoccupati. Ma se non ci pestano i piedi di fronte all’opinione pubblica, non ci sono problemi.

Il cerchiobottismo all’ennesima potenza, per arretrare sui diritti di chi, i lavoratori, il Pd dovrebbe in qualche modo rappresentare, come ricorderà dopo il suo leader.
Successivamente, un ascoltatore interviene nella trasmissione e pungola Bersani ad essere più esplicito:"Come mai il silenzio-assenso del PD su Pomigliano?"
Ecco l’impareggiabile risposta del segretario:
"Ma non è proprio un silenzio… è un assenso sul fatto che in una situazione come quella, non si può comunque perdere un investimento e non si può dire no ad un atto che, se verrà rispettato, se verrà rispettato, per la prima volta porterà, ripeto, una fabbrica dalla Polonia in Italia.
Poi c’è stata una forzatura: io dico assorbiamo questa forzatura, con il tempo. Assorbiamola! Vediamo i lavoratori cosa dicono, cerchiamo nei mesi prossimi di ricomporre un po’ le situazioni che si sono slabbrate, si sono rotte.
Quindi, attenzione: non è che non abbiamo orecchio a ‘sto problema. Il Partito Democratico è il partito del lavoro, è il partito delle grandi questioni sociali… non è che non abbiamo orecchio! Abbiamo cultura, abbiamo sensibilità. Dobbiamo darci più presenza, dobbiamo essere più convinti di questo, darci più organizzazione, più presenza ma… non dubiti l’ascoltatore, noi siamo quelli lì."

Quali? Quelli che non riescono neppure a difendere i diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione?
E’ in questa risposta, plasticamente, la crisi d’identità del Partito democratico: un partito che dimentica le proprie radici, se non per sacrificarle sull’altare di una competitività di cui ignora culturalmente il significato attuale. L’importante è che ciò avvenga nel silenzio complice dei media.
Un partito di impreparati, che hanno un’idea ottocentesca delle relazioni industriali, convinti come il segretario Bersani, che l’assenteismo in fabbrica si combatta sic et simpliciter... non pagando ai lavoratori l’indennità di malattia!
Probabilmente Bersani non ha la minima idea di cosa siano i circoli di qualità e di un modello di organizzazione del lavoro che ha fatto la fortuna di tante multinazionali dell’innovazione di prodotto.
Anche lui è convinto che l’industria italiana debba inseguire i cinesi, piuttosto che i tedeschi o i giapponesi, nel produrre a costi sempre più bassi prodotti di scarso contenuto tecnologico.
Anche a costo di tornare alle relazioni industriali di 100 anni fa. E di caricare la crisi economica e i danni della globalizzazione sui soli lavoratori.
Se i cavernicoli dirigono l’opposizione, è evidente che la crisi in Italia si stia drammaticamente avvitando su se stessa e che gli italiani non sappiano più a che santo votarsi.

martedì 30 marzo 2010

Dallo shock elettorale, Bersani non riesce a riprendersi...

Che cosa ci si poteva attendere dal commissario liquidatore del PD a seguito della ennesima catastrofe elettorale? Un riconoscimento delle proprie macroscopiche colpe?
Niente affatto! Rivendica addirittura un successo di numeri: «Avanziamo di circa un punto rispetto a tutti gli altri partiti alle europee, c'è solo la Lega Nord che avanza dello 0,9 per cento».
Perché la colpa della sconfitta in Piemonte, udite udite, è di Beppe Grillo: lo definisce cupio dissolvi.
Che cosa dire? Di fronte a tale abisso mentale, si sarebbe tentati di consigliare a Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema) di rivolgersi ad un bravo medico.
Il suo è un ragionamento di lucida follia: dal momento che i voti democratici sono chiusi in una cassetta di sicurezza, è chiaro che se mancano all'appello, ci deve essere stato un ladro.
Non solo Beppe Grillo ma anche Antonio Di Pietro e, perché no?, mettiamoci pure Marco Travaglio tra i responsabili dell'ennesimo flop democratico.
Non viene sfiorato dal dubbio che il PD dalla sua nascita ha sempre condotto una politica insulsa, che in due anni non abbia fatto la minima opposizione al governo di Berlusconi, che non abbia proposto uno straccio di programma alternativo a quello del Cavaliere, che abbia difeso i ladri piuttosto che i moralizzatori della vita pubblica, che in Piemonte abbia appoggiato inspiegabilmente la mostruosa opera della TAV mettendosi contro i suoi stessi iscritti e simpatizzanti, che non abbia difeso i lavoratori nelle battaglie per l'occupazione e il salario, che non abbia difeso i magistrati dall'attacco orchestrato dal centrodetra, che non abbia difeso l'acqua pubblica, che non abbia combattuto i tagli a scuola e università, che abbia continuato a difendere il Quirinale quando era oggettivamente indifendibile... in breve, che abbia tradito completamente il mandato elettorale.
In ultimo, che abbia proposto candidature vergognose in Campania come in Calabria, non perdendo la Puglia soltanto per la determinazione di Niki Vendola che ha dovuto ingaggiare uno scontro a muso duro con Massimo D'Alema per potersi ricandidare. Altrimenti con la cura D'Alema in Puglia sventolerebbe oggi un'altra bandierina del centrodestra...
Una politica talmente suicida, da far sospettare che ci sia stato, sotto sotto, un patto inconfessabile con il centrodestra per perdere a tavolino alcune regioni in vista di non si sa quale contropartita: l'ennesimo inciucio di cui nel Pd abbondano gli specialisti.
Complimenti Bersani, hai veramente ragione a prendertela con il movimento di Beppe Grillo!

Mentre il PD rantola, vola il Movimento 5 Stelle!

Tutti adesso stanno a celebrare la vittoria del centrodestra in questa tornata elettorale: 7 a 6 il risultato delle Regionali a favore del centrosinistra. Ma si partiva da un precedente 11 a 2!
Il centrosinistra regge, a fatica, solo nelle regioni un tempo chiamate rosse.
A destra, la vittoria è certamente targata Lega ed ha soprattutto un nome e cognome, Luca Zaia, ministro dell’agricoltura del governo Berlusconi che, con il suo 60% dei voti, proietta il suo partito al vertice della regione Veneto.
Il nuovo doge di Venezia si è meritato sul campo questo successo conducendo una battaglia per la valorizzazione dei prodotti tipici dell’agricoltura italiana contro gli appetiti dei colossi dell’agroindustria e rappresentando un argine alla diffusione degli ogm: insomma, un politico anomalo per il centrodestra.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, certamente la vittoria della Lega in tutto il nord diventa una spina nel fianco per Berlusconi: ne vedremo delle belle!
Il vero flop è rappresentato ancora una volta dal Partito Democratico, destinato ad implodere lentamente, diretto così com’è da una banda di incapaci.
Non sono bastati in sequenza i Fassino, i Veltroni, i D’Alema; anche il nuovo corso di Pierluigi Bersani va in rotta di collisione con il buon senso.
E per fortuna Niki Vendola, sfidando in Puglia in condizioni impossibili il satrapo D’Alema, è riuscito a metterci una pezza: altrimenti il risultato generale per i democratici sarebbe stato addirittura tragico.
La fotografia di questa ennesima débacle, che finisce per rafforzare, guarda un po’, ancora una volta proprio Silvio Berlusconi, è rappresentata dall’esito elettorale del Piemonte; dove la candidata del centrosinistra Mercedes Bresso, conducendo una politica élitaria, del tutto sorda alle invocazioni della base (disgustoso l’atteggiamento tenuto da lei contro le proteste della TAV in val di Susa), ha perduto clamorosamente, a dispetto del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, con la candidatura di Davide Bono, supera i 90.000 voti.
Quella del movimento dei grillini è una grandissima e, lasciatecelo dire, bellissima novità nel grigiore della politica italiana. Un movimento, nato sulla rete e grazie alla rete, a cui i media nazionali non hanno dedicato il minimo spazio: figuriamoci!
Basti pensare che, nelle istruzioni al voto dei principali quotidiani nazionali (per non parlare delle televisioni!) i candidati del Movimento 5 Stelle, neppure comparivano!
Gravissima e totale disinformazione, nonostante i tanti soldi pubblici regalati all’editoria.
Adesso i giornali del centrosinistra piangono lacrime di coccodrillo, accusando Beppe Grillo di avere scippato la vittoria alla Bresso: posizione assolutamente settaria e demenziale che dimostra, una volta di più, come questo Partito Democratico e i suoi sponsor (gruppo L’Espresso – Repubblica) vivono ormai nel paranormale, totalmente estranei alla realtà, semplicemente inadatti come sono ad interpretare i bisogni della base che pure pretendono di rappresentare.
Base che si è stufata, una volta per tutte, di essere diretta da una nomenklatura senza ideali e senza passione, protesa solo a perpetuare i propri privilegi.
Lo avevamo detto, appena qualche settimana dopo il suo insediamento alla segreteria del PD: Pierluigi Bersani rischia di essere il commissario liquidatore di un partito nato senz’anima e con l’unico evidente obiettivo, non di contrastare il governo di Silvio Berlusconi (macché!), di tutelare gli interessi di un’oligarchia, vissuta da sempre alle spalle dei lavoratori.
Grazie, ragazzi del Movimento 5 Stelle che da soli siete riusciti, lottando a mani nude contro il duopolio PD–PDL, a far entrare nei palazzi della politica, da troppo tempo chiusi e polverosi, finalmente una ventata di aria fresca!
Da adesso in poi, la politica italiana non sarà più quella di prima.

domenica 3 gennaio 2010

Il nuovo triangolo di Tartaglia

Dall’episodio di Piazza Duomo del 13 dicembre al discorso di Capodanno del Capo dello Stato ne è veramente passata tanta di acqua sotto i ponti.

Innanzitutto, abbiamo visto la nascita del Partito dell’Amore, ultimo riuscito brand del Pdl. Così i Gasparri, i Cicchitto, i La Russa, sono d’improvviso seguaci di un’organizzazione politica che nata come partito-azienda, è diventata grazie al gesto insano dello psicolabile di Milano, una setta religiosa che predica la pace, la povertà (altrui), la tolleranza, l’amore verso il prossimo…
Che poi additi in Parlamento come propri nemici i Santoro, i Di Pietro, quel "terrorista mediatico" di Marco Travaglio è semplicemente un dettaglio, anzi una malevola allusione alle parole amorevoli, addirittura appassionate, pronunciate dall’ex piduista Fabrizio Cicchitto che intendeva, con quel felice discorso, semplicemente denunciare il clima d’odio messo su dall’opposizione a cui voleva, nonostante tutto, tendere una mano e invitare alla riflessione quanti ancora si ostinano a non riconoscere la statura (istituzionale) del premier.
Così ci tocca assistere da oltre venti giorni ad una rassegna della politica italiana intrisa di buoni sentimenti, di parole d’ordine come apertura al dialogo, toni smorzati, clima più sereno, avvio di un percorso condiviso di riforme.
La ciliegina sulla torta è stata la lettera di auguri natalizi inviata al Papa per il tramite del cardinale Tarcisio Bertone dal fervente cattolico Silvio Berlusconi che, in un passo, così lo rassicura:
"Posso confermare che i valori cristiani testimoniati dal Pontefice sono sempre presenti nell’azione del Governo da me presieduto, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la serenità e la pace sociale."

Che cosa pretendere di più?
Siamo governati non solo da un grande imprenditore, vittima incolpevole dell’odio comunista, ma anche da un uomo timorato di Dio, che osserva con scrupolo missionario i dieci comandamenti, per giunta benefattore degli Italiani.
Il resto, come direbbero all'unisono Marcello Dell'Utri e l'Augusto Minzolini del TG1, sono tutte minchiate.
A questo punto, come non sfruttare questa fortunata congiunzione astrale, per fare le riforme istituzionali?
Quando mai ritroveremo nella Storia un tal Uomo che possa accompagnare per mano l’umbratile Italia?
Intanto, cogliendo l’occasione di un Parlamento ancora in vacanza, si riabilita un Padre della Patria: l’esule Bettino Craxi da Hammamet.
Sì, proprio lui, stiamo parlando del filosofo della nuova Città del Sole: Tangentopoli.
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, in procinto di intitolargli una via o un parco, ne vuole celebrare in pompa magna la memoria: nel frattempo, lo equipara giustamente a Giordano Bruno e a Giuseppe Garibaldi.
Più pacatamente, come è ormai uso lessicale dei Democratici dopo il contributo decisivo della segreteria di Walter Veltroni, Piero Fassino ne esalta la figura di piccolo Davide che osò sfidare i due Golia politici, Democrazia cristiana e Partito comunista:
"Non ci sono dubbi. Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica ed istituzionale, su questo sfidò due grandi forze come la Dc e il Pci ed avvertendo il rischio di non farcela, non sfuggì alla tentazione di un alleanza con i poteri forti, come la P2 di Gelli, terreno sul quale è maturata la degenerazione e la corruzione".
Un ragionamento, il suo, frutto di una analisi politica acutissima: nessuna sorpresa se, alle celebrazioni per il decennale della scomparsa del Nuovo Eroe, lo dovessimo vedere sfilare a fianco del Venerabile mentre si autoflagella ai piedi del mausoleo di Hammamet.
Ma il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, non commenta.
Sono ormai oltre due mesi che, preso troppo sul serio l’invito del presidente Napolitano ad abbassare i toni, ha persino azzerato il volume: tace.
Qualcuno vede nel suo immobilismo l’aplomb tipico di un amministratore di condominio; e continuando così ancora per qualche giorno, mentre in Puglia e Lazio il partito si dilania nel non scegliere i candidati alle prossime Regionali, ne diventerà a pieno titolo il commissario liquidatore.
Infine, Massimo D’Alema, grazie al suo proverbiale fiuto che ne fa da sempre il politico italiano più intelligente e perdente, spinge i suoi a cercare ad ogni costo l’accordo per le riforme con il grande costituzionalista Silvio Berlusconi, ricevendo l’assenso a reti unificate del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Che, tuttavia, nel messaggio di fine anno si è dimenticato di fare ammenda dell'errore compiuto nel luglio 2008 per aver promulgato su due piedi il palesemente incostituzionale lodo Alfano, poi cassato senza mezzi termini dalla Suprema Corte nello scorso ottobre.
Ma a questo punto siamo tutti sollevati di morale.
Perché agli albori del 2010, forse proprio a causa dell'esecrabile gesto di Massimo Tartaglia, il folle teppista del Duomo, si respira un clima diverso tra il presidente Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema).
Che si stia disegnando un nuovo triangolo nel firmamento finora plumbeo della politica italiana?

martedì 8 dicembre 2009

Il Partito Democratico: Così è, se vi pare!

La grande manifestazione autorganizzata del No B Day del 5 dicembre ha ormai messo in chiaro alcune cose, dalle quali non si può prescindere per sondare gli scenari futuri della politica italiana.

L’onda lunga contro il governo presieduto da Silvio Berlusconi sta salendo rapidamente: il malessere sociale aumenta a vista d’occhio e sentire in televisione i suoi avvocati parlamentari architettare l'ennesimo colpo di spugna per i suoi guai giudiziari, non solo è un’offesa all’intelligenza degli italiani; prima ancora è uno schiaffo alla loro oggettiva condizione di difficoltà economica.

Il processo breve (sarebbe meglio dire nullo) è un’idea così idiota che anche il più inetto dei politici si accorgerebbe all’istante che patrocinare una legge del genere, senza garantire ai magistrati condizioni e strumenti di lavoro adeguati a realizzare in concreto un obiettivo tanto ambizioso, significherebbe legare il proprio nome ad una demenziale mascalzonata.
Pertanto, tra i suoi fidi scudieri, è iniziato il tocco per decidere chi la deve firmare...
Un umile suggerimento. Gli avvocati del premier siano ancora più drastici: che i tre gradi di giudizio si concludano non in sei anni ma in una settimana… e d’incanto, tra sette giorni, la giustizia italiana si sarà sbarazzata di tutto l’arretrato (lasciando le vittime al loro destino e i delinquenti in libertà... ma queste sono sottigliezze!).
Il migliore dei mondi possibile per il compianto Al Capone.
Infatti, se per reggere alle eccezioni di incostituzionalità sulla uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, verranno fatti rientrare nel processo nullo anche i reati di mafia e terrorismo, Spatuzza & gli altri mammasantissima saranno finalmente tacitati: e, ne siamo sicuri, alla chetichella le porte del carcere si apriranno finalmente anche per loro.

Di fronte a questo disastro politico, giudiziario, sociale, economico ed etico, che muove centinaia di migliaia di persone ad inaugurare il ponte dell’Immacolata sulle strade di Roma, non per lo shopping natalizio, ma soltanto per gridare ai quattro venti che il re è nudo, la risposta del Partito democratico è assolutamente inesistente.
Sabato a Roma si sono visti sfilare politici di primo piano del PD, come la presidente Rosy Bindi, ma il segretario Pierluigi Bersani se ne è tenuto fuori, perché rivendica lui, non ci si imbuca nelle manifestazioni degli altri.
Certamente come amministratore di condominio il suo ragionamento non fa una piega ed avrà una luminosa carriera: se ci sono schiamazzi notturni, siano gli inquilini insonni a chiamare il 113, non di certo lui che vive da un’altra parte!

E’ surreale, l’unico grande partito di opposizione in Parlamento si dichiara attualmente non interessato ad opporsi al governo del Cavaliere ed al Cavaliere in persona.
Ma lasciare 300-400mila persone abbandonate a se stesse in piazza San Giovanni e milioni di altri a masticare amaro tra le mura domestiche di sabato sera, non è un suicidio politico?
Per l’amministratore pro-tempore Bersani, così va il mondo
Siamo all'inverosimile che pure Se po’ ffà Veltroni, di fronte all'immobilismo di Bersani, un vero letargo, si sia scoperto improvvisamente movimentista.
Neppure il grande Pirandello avrebbe potuto immaginare un esito congressuale così bislacco e disperante: perchè qui la montagna del PD non ha partorito un topolino, ha optato direttamente per l’interruzione anticipata di gravidanza!
Colui che ha fatto dell’accordo strategico con Berlusconi la cifra della sua stagione politica (e che per questo, neanche un anno fa è stato dimesso dai suoi), proprio Walter Veltroni, si trova adesso a tuonare contro il neosegretario, reo di essere ancora più mozzarella di lui.

Pare ovvio che, in questo penoso stato di cose, senza avere un’alternativa politica semplicemente dignitosa e minimamente credibile, Silvio Berlusconi continuerà a fare il bello e il cattivo tempo ancora a lungo.

giovedì 26 novembre 2009

Il letargo del neosegretario del PD

E’ trascorso un mese dall’affermazione alle primarie democratiche di Pierluigi Bersani a segretario ma possiamo dire onestamente di non essercene accorti.
Tutto tace, come se nella segreteria del PD si dormisse della grossa, per recuperare forse le energie spese in precedenza nel wrestling ingaggiato con Dario Franceschini.
Insomma, non disturbate il manovratore, perché sta riposando.
L’unica cosa che ci ha fatto sapere in queste settimane è che il PD non parteciperà il 5 dicembre al No B day, la giornata di mobilitazione indetta dalla società civile contro il premier.
Ci saranno tutti, tranne lui: perché "non accettiamo lezioni da nessuno!".
Bravo, bravissimo, grande prova di temperamento!
Va a finire che tra un po’ ci toccherà rimpiangere pure Se po’ ffà Veltroni...
Nel frattempo Roma brucia, con la questione morale che sta degenerando in problema di criminalità organizzata.
Mentre i collaboratori di giustizia fanno tremare il Palazzo ridisegnando la stagione delle stragi di mafia del '92-'93, la Casta impedisce l’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Con i voti decisivi della Lega.
Vi ricordate quando la Lega Nord attaccava Roma Ladrona? Bei tempi quelli... Ormai il partito di Bossi ha cambiato pelle e ne è diventato uno dei più strenui difensori.
Intanto Luciano Violante del PD, in diretta nello studio di Ballarò, fa strani discorsi, prospettando al ministro Angelino Alfano la soluzione di tutti i problemi del suo capo, mentre i militanti democratici restano impietriti davanti alla televisione.
E Bersani? Cosa starà pensando?
Quel brav’uomo, rinfoderato il suo orgoglio, è caduto in letargo… Ecco perché il 5 dicembre non può scendere in piazza!

giovedì 8 maggio 2008

L'ultimo schiaffo a Prodi

Martedì sera a Ballarò abbiamo appreso dalla viva voce di Pierluigi Bersani, già ministro dello sviluppo economico nel governo Prodi, due importanti novità:
1) se il PD non si fosse presentato alle elezioni da solo ma insieme alle altre forze costituenti la maggioranza del governo uscente, lui stesso non sa se avrebbe votato per l’Unione;
2) “senza un minimo di chiarezza programmatica”, ritiene inevitabile abbandonare l’alleanza con la sinistra nelle amministrazioni locali per non subire i no alla costruzione di rigassificatori, ecc.
Conclusione: il gruppo dirigente del Partito Democratico invece di lasciare, come il buon senso suggerirebbe dopo l’irripetibile e disastroso risultato elettorale, addirittura raddoppia minacciando di uscire pure a livello locale dalla tradizionale alleanza di tutte le sinistre.
Il cataclisma amministrativo che ne deriverebbe un po’ ovunque nella penisola e soprattutto nelle cosiddette regioni rosse è di tutta evidenza.
Ma può un passaggio politico così impervio essere annunciato en passant in un salotto televisivo senza prima essere deliberato dai vertici del partito e suggellato da un chiaro pronunciamento della propria base elettorale?
Dopo le altrettanto gravi parole di Franceschini di alzare la soglia di sbarramento alle Europee del 2009 (a parole, blaterando di un bipartitismo che a Bruxelles è semplicemente improponibile; nei fatti per far fuori anche lì tutte le minoranze), si ritorna inevitabilmente al quesito posto da questo blog soltanto due settimane fa.
Com’è possibile che la classe dirigente del Partito Democratico, che dal 14 aprile dovrebbe stare in ritiro spirituale per recitare umilmente e sommessamente il mea culpa (avendo consegnato con tre anni di anticipo il Paese alle destre e condannato Romano Prodi all’oblio!), non ha ancora fatto il classico passo indietro?
In forza di quale delega resta al comando del PD senza rispondere della propria dissennata condotta politica?
Perché qui non è più questione di strategia elettorale, è in atto un vero e proprio ribaltamento di linea politica o meglio un processo di mutagenesi ideologica.
Il PD nella versione di Bersani, Franceschini e di tutto l’attuale gruppo dirigente si colloca molto più a destra della vecchia rimpianta balena bianca: il pensiero politico di Moro, Zaccagnini e dello stesso De Mita è stato molto più avanzato sulle questioni economiche e sociali di quanto non dimostrino gli attuali capi democratici.
Non sorprende quindi che qualcuno nelle elezioni di Roma abbia potuto vedere in Alemanno (erroneamente ma comprensibilmente!) un’espressione politica più a sinistra dell’attuale gruppo dirigente del PD che proprio nella capitale esibiva la massima rappresentazione del suo sistema di potere.
L’ultima puntata di Report di Milena Gabanelli “I re di Roma” è assai rivelatrice, dimostrando che la sconfitta di Roma, piuttosto che una inattesa battuta d’arresto, è la conseguenza inevitabile di un grave fallimento politico, maturato nel corso degli ultimi 15 anni di giunte Rutelli-Veltroni.
Un’ultima notazione: le lodi che Bersani ha intessuto a Romano Prodi nello studio di Giovanni Floris sono state, al di là delle facili apparenze, un piccolo capolavoro di ipocrisia e di spregiudicatezza politica, implicitamente (e neanche troppo!) sottolineando la sua presa di distanza dall’esperienza di governo del Professore.
Ma di quel governo egli non è stato forse fino all’ultimo uno dei più influenti suggeritori e, mediaticamente, sicuramente il massimo esponente?